Trust di Hernan Diaz

Sul concetto di lettore medio si potrebbe parlare per ore. Di come quintali e quintali di carta abbiano ospitato storie studiate per quella tipologia di acquirente, condizionando in ogni fase della stesura la creazione dell’opera.

Fa un po’ sorridere allora che sul concetto di lettore medio Hernan Diaz abbia basato il suo ultimo romanzo, pubblicato in Italia per Feltrinelli nella traduzione di Ada Arduini. Trust si presenta come un libro atipico, un romanzo composto da altri romanzi che a tutti gli effetti potrebbero essere letti separatamente e filerebbero comunque. Tutto ruota attorno alla vita di Andrew Bevel, magnate della finanza newyorkese che, negli anni Cinquanta, intende affidare al tanto agognato lettore medio la propria biografia, quanto più fedele possibile all’idea che egli vuole comunicare di sé stesso. Le ragioni che sottendono questi intenti simil letterari sono però slegate dalle più scontate motivazioni di fama o orgoglio; sono più oscure, difficili da dichiarare, in ogni caso celate finanche a colei che è stata designata per l’arduo compito, una giovane donna italoamericana dal nome di Ida Partenza.

Nei continui colloqui che Bevel avrà con Ida, insisterà freneticamente sul lettore medio: è a lui che vuole rivolgersi, è su di lui che non soltanto il linguaggio ma il contenuto stesso della storia deve essere adattato affinché gli diventi accessibile. Perché questo si verifichi, la sua vita – in particolare ciò che concerne la figura della defunta signora Bevel – va epurata di ogni nota stonata: va soprattutto liberata, in qualche modo, da un peso che è stato posto sulla memoria da quando un romanzo intitolato Fortune è stato dato alle stampe.

Autore del fortunato libro diventato subito bestseller è tale Harold Vanner, che – secondo Bevel – avrebbe scritto la storia della sua vita, del suo matrimonio, di sua moglie, diffondendo calunnie sul loro conto e semplicemente cambiando nomi e cognomi ai suoi protagonisti. La sua biografia, quella di Bevel, deve essere dunque una contro risposta che metta a tacere le bugie e racconti l’unica e sola versione possibile dei fatti.

Prescindendo dall’evoluzione del plot, che è interessante perché unisce elementi del thriller a dettagli più tipici della tradizione narrativa americana, con il dio denaro a farla da padrone e un certo motivetto tipico del self made man, la ragione che mi ha spinto a parlare, qualche paragrafo fa, di scelta curiosa che fa sorridere è che tutta l’operazione di Trust è sembrata un tentativo – riuscitissimo, devo ammetterlo – di accalappiare il lettore medio, di offrirgli un romanzo che presenta, come da manuale, tutti gli elementi che dovrebbe avere per emergere nel sovrappopolato mondo editoriale.

Alla lettrice che sono questa precisione che sottende l’intero impianto letterario ha, a lungo andare, infastidito. Non perché la mia personale esperienza di lettura ne sia stata compromessa, anzi. Ma perché la totale assenza di sbavature o di cambi di direzione ha portato Trust a un livello di finzione troppo altro.

Al passaggio contorto che mi lascio alle spalle provo ad affiancare un esempio banale ma mi auguro efficace: è come quando si sta ascoltando l’interpretazione di un brano noto da parte di un cantante o aspirante tale e quest’ultimo ha una voce pazzesca, porta avanti dall’inizio alla fine un’esecuzione encomiabile ma, alla fine, capiterà di essere più colpiti da quello che mentre cantava ha steccato qualche nota ma ha comunicato di più. Così forse l’effetto di questo libro dovrebbe essere più chiaro.

Ciò non toglie che Diaz abbia dei meriti indubbi. A partire dal concetto di doppio, al binomio finzione/verità che ne impregna ogni sua parte. Il titolo, ad esempio: trust è in inglese non soltanto fiducia, ma in ambito finanziario, (secondo Treccani) anche una «coalizione di imprese mediante la quale aziende similari o tra loro in rapporto di complementarità si fondono in un complesso economico a direzione unitaria al fine di ridurre i costi di produzione, aumentare i profitti e ottenere un controllo parziale o totale del mercato». Allo stesso modo Bevel plasma le verità per riappropriarsi del controllo che ritiene gli sia stato sottratto.

In realtà, ogni personaggio manipolerà il concetto di verità declinandolo (o piegandolo) al proprio credo. Da Bevel a Ida Partenza, da Vanner alla Ida del futuro, che incontreremo nella terza sottosezione del romanzo, quando ormai adulta tornerà in quell’abitazione di New York dove aveva lavorato come dattilografa.

Tra alcune perplessità che comunque non ne inficiano il valore, Trust è un romanzo godibile. Promosso con qualche riserva, quindi.

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